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Strategie per la Gestione dell’Obesità: Farmaci Innovativi e Digiuno Intermittente


Introduzione

L’obesità è un problema di salute globale in rapida crescita, associato a un aumento significativo di patologie metaboliche e cardiovascolari. L’eccesso di tessuto adiposo viscerale contribuisce allo sviluppo della sindrome metabolica, una condizione caratterizzata da insulino-resistenza, dislipidemia e ipertensione, che a sua volta incrementa il rischio di diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e persino alcuni tipi di cancro . Le conseguenze sul piano sanitario sono gravi: si registra un aumento della mortalità e un pesante impatto socio-economico legato ai costi di gestione di queste patologie . Secondo stime recenti, entro il 2035 oltre 4 miliardi di persone nel mondo potrebbero essere in sovrappeso od obese, rendendo sempre più pressante la necessità di interventi efficaci per arginare questa epidemia .

Le strategie tradizionali per la gestione del peso corporeo si basano su modifiche dello stile di vita – in primis dieta ipocalorica ed esercizio fisico regolare – e, nei casi più gravi, interventi di chirurgia bariatrica. Tuttavia, aderire a lungo termine a restrizioni caloriche può risultare difficile e molti pazienti faticano a mantenere la perdita di peso sul lungo periodo. In risposta a questa sfida, negli ultimi anni sono emerse nuove soluzioni sia farmacologiche che dietetiche. Da un lato, l’introduzione di farmaci innovativi (spesso nati inizialmente per il trattamento del diabete) ha rivoluzionato la terapia dell’obesità, offrendo cali ponderali prima ottenibili solo con la chirurgia. Dall’altro, regimi alimentari come il digiuno intermittente 16/8 (una forma di alimentazione a tempo ristretto) hanno guadagnato popolarità per i loro potenziali benefici metabolici e la relativa flessibilità. Queste opzioni aggiuntive ampliano l’armamentario terapeutico contro l’obesità e le sue complicanze.

Nel presente documento verranno esplorate due strategie complementari per la gestione del peso e della salute metabolica: i farmaci anti-obesità di nuova generazione e il digiuno intermittente 16/8. Dopo un’introduzione al problema, si analizzeranno in dettaglio i principali farmaci innovativi (semaglutide, tirzepatide, liraglutide, petrelintide, CT-388) evidenziandone meccanismi d’azione, effetti su sindrome metabolica, diabete e rischio cardiovascolare, oltre ai possibili effetti collaterali. Successivamente, verranno discussi i principi e i benefici del digiuno intermittente 16/8, con indicazioni su come attuarlo (frequenza ottimale, modalità) e strategie pratiche per massimizzarne gli effetti. Infine, una conclusione sintetizzerà i vantaggi di un approccio integrato che combini terapia farmacologica e interventi sullo stile di vita, sottolineando l’importanza di un piano personalizzato e multidisciplinare nella gestione a lungo termine dell’obesità e della salute metabolica.

Farmaci Innovativi per la Gestione dell’Obesità

I progressi nella comprensione dei meccanismi dell’appetito e del metabolismo hanno portato allo sviluppo di farmaci più efficaci per il calo ponderale. Molti di questi agiscono modulando gli ormoni coinvolti nella regolazione della fame, della sazietà e dell’omeostasi glicemica. In particolare, un filone di grande successo è quello degli agonisti di ormoni incretinici (come GLP-1 e GIP) e degli analoghi dell’amilina, che mimano segnali fisiologici atti a ridurre l’assunzione di cibo e migliorare il controllo metabolico. Di seguito vengono presentati i principali farmaci innovativi attualmente disponibili o in fase di sviluppo per il trattamento dell’obesità, con una panoramica del loro funzionamento e dei loro effetti.

Semaglutide

Meccanismo d’azione: Il semaglutide è un agonista del recettore del GLP-1 (glucagon-like peptide-1) a lunga durata d’azione. Originariamente sviluppato per il diabete tipo 2, in formulazione a dose maggiore è approvato anche per la terapia dell’obesità. Simula l’azione delle incretine intestinali come il GLP-1, che vengono rilasciate dopo i pasti: questo comporta un aumento della secrezione di insulina e una riduzione del glucagone (con miglior controllo della glicemia), oltre a un effetto diretto sul sistema nervoso centrale che porta a riduzione dell’appetito e aumento del senso di sazietà . Inoltre, il GLP-1 rallenta lo svuotamento gastrico, contribuendo a modulare l’assorbimento di nutrienti e prolungare la sensazione di pienezza. La formulazione iniettiva a rilascio prolungato di semaglutide consente una somministrazione settimanale, facilitando l’aderenza del paziente.

Effetti sul peso e sul metabolismo: Gli studi clinici hanno mostrato risultati notevoli in termini di calo ponderale. In un trial su adulti obesi (studio STEP 1), semaglutide 2,4 mg una volta a settimana associato a interventi sullo stile di vita ha prodotto una riduzione media di peso di circa il 15% in 68 settimane, rispetto a un calo di appena il 2-3% con placebo . Metà circa dei partecipanti trattati con semaglutide hanno perso oltre il 15% del peso iniziale – un risultato paragonabile a quello di interventi chirurgici bariatrici minori . Oltre alla perdita di peso, si osservano miglioramenti nei parametri metabolici: nei pazienti con diabete tipo 2 il farmaco riduce significativamente l’emoglobina glicata (HbA1c) e la glicemia a digiuno, grazie alla maggiore secrezione insulinica glucosio-dipendente e alla minor introduzione calorica. La riduzione del peso corporeo e degli indici di insulino-resistenza comporta anche benefici sulla pressione arteriosa e sul profilo lipidico (spesso si riscontra un calo dei trigliceridi e un aumento del colesterolo HDL). Importante sottolineare che il semaglutide ha dimostrato vantaggi cardiovascolari: in uno studio su soggetti in sovrappeso/obesi con pregressa malattia cardiovascolare ma senza diabete (trial SELECT), il trattamento con semaglutide 2,4 mg ha ridotto del 20% il rischio di eventi cardiovascolari maggiori (infarto, ictus o morte cardiovascolare) rispetto al placebo . Analogamente, in precedenti studi su diabetici ad alto rischio, gli agonisti GLP-1 come semaglutide hanno mostrato una significativa riduzione degli eventi avversi cardiovascolari rispetto al placebo . Questi dati suggeriscono che, oltre a favorire il dimagrimento, il semaglutide possa proteggere il cuore e i vasi, probabilmente attraverso il miglioramento dei fattori di rischio (glicemia, peso, pressione, lipidi) e effetti anti-infiammatori diretti.

Possibili effetti collaterali: Gli effetti indesiderati più comuni con semaglutide riguardano il tratto gastrointestinale, in linea con gli altri agonisti GLP-1. Molti pazienti accusano nausea, soprattutto nelle prime settimane di terapia, oltre a possibili vomito, diarrea o costipazione. Tali sintomi sono generalmente lievi-moderati e tendono a diminuire col tempo o con l’aggiustamento graduale del dosaggio. In uno studio, eventi gastrointestinali (come nausea e diarrea) si sono verificati in circa il 10% dei pazienti in trattamento, contro il 2% nel gruppo placebo . Questo può portare in alcuni casi alla sospensione del farmaco se i disturbi sono mal tollerati. Un altro possibile effetto è un lieve aumento della frequenza cardiaca, osservato con i GLP-1 agonisti, di significato clinico ancora incerto. Effetti avversi più rari ma importanti includono: pancreatite acuta (infiammazione del pancreas), riportata raramente nei pazienti in terapia GLP-1 – nei trial l’incidenza è risultata bassa e non significativamente diversa da quella con placebo ; calcoli biliari e colecistiti, favoriti dalla rapida perdita di peso; e un rischio teorico di tumori tiroidei a cellule C (osservato nei roditori ma non confermato nell’uomo, tuttavia i GLP-1 agonisti sono controindicati in chi ha una storia personale o familiare di carcinoma midollare della tiroide). In generale, semaglutide viene considerato sicuro e ben tollerato; il monitoraggio clinico è comunque opportuno, specialmente nelle fasi iniziali, per gestire gli effetti collaterali e ottimizzare l’aderenza alla terapia.

Tirzepatide

Meccanismo d’azione: Il tirzepatide è un farmaco di nuova generazione con un meccanismo d’azione duale: si tratta infatti di un agonista combinato dei recettori GIP (glucose-dependent insulinotropic polypeptide) e GLP-1. Questa molecola, definita anche “twincretina”, unisce in un unico peptide 39 amminoacidi in grado di attivare entrambi i recettori ormonali incretinici . Il razionale è sfruttare il duplice segnale ormonale per potenziare gli effetti metabolici: il GIP, come il GLP-1, stimola la secrezione insulinica glucosio-dipendente e potrebbe avere effetti sinergici sul metabolismo energetico. Nei modelli animali obesi e diabetici, la co-somministrazione di GIP e GLP-1 ha mostrato effetti superiori rispetto al solo GLP-1 nel ridurre l’assunzione di cibo, il peso corporeo e la massa grassa . Il tirzepatide, somministrato una volta a settimana per via sottocutanea, riproduce questi effetti nell’uomo: la duplice agonizzazione dei recettori GIP/GLP-1 amplifica la secrezione di insulina post-prandiale, sopprime il glucagone, rallenta lo svuotamento gastrico e riduce fortemente l’appetito. In sintesi, agisce su più vie complementari della regolazione metabolica, facendo di esso una terapia particolarmente efficace per diabete e obesità.

Effetti su peso, sindrome metabolica e diabete: I risultati clinici con tirzepatide sono molto incoraggianti. Negli studi di Fase 3 su pazienti con diabete tipo 2 (programma SURPASS), tirzepatide ha determinato riduzioni impressionanti dell’HbA1c e del peso corporeo. Alle dosi più alte testate (come 15 mg/settimana), i diabetici hanno ottenuto cali di emoglobina glicata superiori a 2 punti percentuali accompagnati da perdite di peso medie prossime al 15% del peso iniziale . In un trial specifico su persone con obesità senza diabete (studio SURMOUNT-1), la dose massima di tirzepatide ha portato a una riduzione di peso quasi del 21% in 72 settimane – risultati mai visti prima con un farmaco anti-obesità (per confronto, in quello studio il 15% dei partecipanti ha raggiunto perdite di oltre il 30% del peso corporeo)  . Questi numeri collocano tirzepatide ai livelli della chirurgia bariatrica in termini di efficacia sul peso. Oltre al dimagrimento, il farmaco migliora vari parametri della sindrome metabolica: riduce la circonferenza vita, migliora la sensibilità insulinica e determina un profilo lipidico più sano. Ad esempio, in analisi di trial clinici, tirzepatide 15 mg ha ridotto significativamente i livelli di colesterolo totale, LDL e trigliceridi (rispettivamente di ~5-8% per colesterolo e ~22% per trigliceridi) aumentando al contempo il colesterolo HDL di circa l’11% . In pazienti con diabete e obesità, sono stati osservati miglioramenti marcati dei trigliceridi e degli enzimi epatici, suggerendo un possibile beneficio anche sul fegato grasso (NAFLD), una frequente comorbilità nell’obesità. Inoltre, tirzepatide mostra effetti anti-infiammatori: in uno studio di 26 settimane su persone con obesità e diabete, ha ridotto i livelli circolanti di alcuni biomarcatori infiammatori e di stress cellulare (come YKL-40, ICAM-1, leptina, GDF-15), indicando un profilo di rischio cardiovascolare potenzialmente migliorato . Grazie al robusto controllo glicemico e ai benefici metabolici complessivi, si prevede che tirzepatide possa ridurre gli eventi cardiovascolari nei pazienti ad alto rischio, sebbene siano in corso studi dedicati per confermare tale ipotesi (un ampio trial, SURPASS-CVOT, sta confrontando tirzepatide con un agonista GLP-1 sul rischio di infarti e ictus). In un’analisi preliminare su pazienti con insufficienza cardiaca e diabete, il farmaco ha già mostrato segnali positivi riducendo un endpoint combinato di peggioramento dello scompenso cardiaco e mortalità cardiovascolare rispetto al controllo .

Possibili effetti collaterali: Il profilo di sicurezza di tirzepatide è in gran parte sovrapponibile a quello degli agonisti del GLP-1, dato il meccanismo in parte condiviso. I disturbi gastrointestinali sono gli eventi avversi più comuni: nella fase iniziale di terapia molti pazienti riferiscono nausea, che talora può essere intensa, oltre a episodi di vomito, diarrea o costipazione. La titolazione graduale del dosaggio aiuta a mitigare questi sintomi. Complessivamente, l’incidenza di effetti GI con tirzepatide tende ad essere dose-dipendente e simile o solo leggermente superiore a quella osservata con agonisti GLP-1 puri alle dosi equipotenti. Altri effetti collaterali possibili includono perdita di appetito marcata (voluta terapeuticamente, ma da monitorare per evitare malnutrizione), affaticamento o leggeri capogiri in alcuni individui, probabilmente legati al rapido miglioramento glicemico. Va inoltre posta attenzione al rischio di ipoglicemia quando tirzepatide è usato in combinazione con altri farmaci che abbassano la glicemia (ad esempio insulina o sulfoniluree), poiché la potente azione insulinotropica del GIP/GLP-1 può abbassare molto i livelli di zucchero nel sangue; in monoterapia invece il rischio ipoglicemico è minimo grazie alla secrezione insulinica glucosio-dipendente. Studi finora non hanno evidenziato segnali di rischi cardiovascolari avversi diretti né effetti sul sistema pancreatico diversi da quelli noti per i GLP-1 agonisti. Dato il meccanismo innovativo, è comunque in corso un attento monitoraggio a lungo termine. In sintesi, tirzepatide offre un profilo beneficio-rischio molto favorevole, con tollerabilità accettabile considerando gli importanti benefici clinici ottenuti.

Liraglutide

Meccanismo d’azione: Liraglutide è anch’esso un agonista del recettore GLP-1, di struttura peptidica, ma con una durata d’azione inferiore rispetto a semaglutide (richiede un’iniezione giornaliera per mantenere livelli efficaci). È stato uno dei primi GLP-1 agonisti utilizzati per il trattamento del diabete di tipo 2 (nome commerciale Victoza, dose 1.2-1.8 mg/die) e successivamente autorizzato, ad un dosaggio maggiore, per il trattamento dell’obesità (nome commerciale Saxenda, 3.0 mg/die). Il funzionamento è analogo a quello descritto per semaglutide: stimola l’insulina e sopprime il glucagone in modo glucosio-dipendente, rallenta la digestione gastrica e agisce sull’ipotalamo inducendo sazietà e riducendo l’assunzione di cibo.

Effetti sul peso e sul metabolismo: L’efficacia di liraglutide nel promuovere la perdita di peso è stata documentata in diversi studi clinici. In uno studio cardine su adulti obesi non diabetici (studio SCALE, 56 settimane), liraglutide 3.0 mg ha indotto una perdita di peso media di circa 5,8% del peso corporeo, significativamente superiore al ~1,6% ottenuto con placebo . In termini assoluti, i partecipanti trattati hanno perso in media ~6,4 kg, contro ~2,2 kg del gruppo di controllo nello stesso periodo . Inoltre, una percentuale considerevole di pazienti (circa un terzo) ha raggiunto cali ponderali di almeno il 10% con liraglutide 3.0 mg. Nei pazienti con diabete tipo 2, liraglutide (a 1.8 mg) migliora il controllo glicemico riducendo l’HbA1c di ~1-1,5% e favorendo un moderato dimagrimento (~2-3 kg), aiutando così a rompere il circolo vizioso tra obesità e insulino-resistenza. Benefici aggiuntivi si osservano sui parametri cardiovascolari: modeste riduzioni della pressione arteriosa sistolica e miglioramento del profilo lipidico (lievi cali di colesterolo totale/LDL e trigliceridi) grazie alla perdita di peso. Liraglutide è particolarmente significativo perché è stato il primo farmaco anti-diabetico moderno a mostrare un vantaggio sugli esiti cardiovascolari: nello studio LEADER, condotto su oltre 9000 pazienti con diabete tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare, liraglutide ha ridotto del 13% l’incidenza del composito di infarto, ictus o morte cardiovascolare rispetto al placebo (13.0% vs 14.9% in 3,8 anni; HR 0,87) . In particolare, la mortalità cardiovascolare è risultata significativamente più bassa nel gruppo liraglutide (4,7% vs 6,0%; HR 0,78) , così come la mortalità totale (8,2% vs 9,6%; HR 0,85). Questi risultati indicano che liraglutide non solo aiuta a gestire la sindrome metabolica (peso, glicemia, fattori di rischio), ma contribuisce anche a prevenire eventi cardiovascolari maggiori nei pazienti vulnerabili . Tali benefici vengono attribuiti alla combinazione di perdita di peso, migliore controllo dei fattori di rischio e possibili effetti diretti cardioprotettivi dei GLP-1 (ad es. miglioramento della funzione endoteliale e riduzione dell’infiammazione subclinica).

Possibili effetti collaterali: Come gli altri agonisti del GLP-1, liraglutide presenta principalmente effetti collaterali gastrointestinali. Nausea e senso di ripienezza post-prandiale sono molto comuni all’inizio della terapia (oltre il 20-30% dei pazienti); spesso si accompagnano a vomito intermittente o diarrea. Questi sintomi tendono a diminuire con il proseguire del trattamento e adottando una titolazione graduale della dose. In alcuni casi, possono insorgere dolori addominali o dispepsia (cattiva digestione). Gli eventi GI rappresentano la principale causa di interruzione del trattamento con liraglutide , sebbene nella maggior parte dei pazienti siano gestibili. Un potenziale effetto avverso, condiviso dalla classe, è il rischio (raro) di pancreatite acuta. Nei trial clinici l’incidenza di pancreatite con liraglutide è risultata bassa e non significativamente diversa dal placebo , ma poiché storicamente alcuni agonisti GLP-1 erano stati associati a questo evento, i pazienti devono essere avvisati di riferire eventuali sintomi compatibili (dolore addominale severo persistente) e il farmaco va sospeso se la pancreatite è confermata. Un altro effetto osservato durante la perdita di peso indotta da liraglutide è la comparsa di calcolosi biliare in una minoranza di pazienti, probabilmente legata al rapido dimagrimento (la bile diventa più litogena); ciò può portare a colecistite acuta in rari casi. Altri effetti collaterali possibili includono cefalea, affaticamento, vertigini e un modesto aumento della frequenza cardiaca a riposo. Dal punto di vista della sicurezza cardiovascolare, come visto, liraglutide non solo non incrementa il rischio, ma ha mostrato esiti migliori del placebo negli studi a lungo termine . In sintesi, liraglutide è considerato un farmaco sicuro, con effetti collaterali prevalentemente gastrointestinali prevedibili e gestibili; la sua efficacia e protezione cardiovascolare ne fanno un importante strumento terapeutico, tenendo sempre conto di valutare individualmente tollerabilità e controindicazioni (come nei soggetti con pancreatite pregressa o rischio di tumori tiroidei).

Petrelintide

Meccanismo d’azione: Petrelintide è un analogo dell’amilina di nuova generazione in fase di sviluppo come terapia anti-obesità. L’amilina (o islet amyloid polypeptide) è un ormone peptidico prodotto dalle cellule beta del pancreas e co-secreto insieme all’insulina in risposta all’assunzione di cibo. Fisiologicamente, l’amilina promuove la sazietà, rallenta lo svuotamento gastrico e riduce la secrezione di glucagone post-prandiale, contribuendo così alla regolazione della glicemia e dell’introito calorico  . Nelle persone obese è stato osservato un deficit relativo di amilina o una resistenza ai suoi effetti, motivo per cui fornire un agonista dell’amilina può aiutare a ripristinare questi segnali di pienezza. Petrelintide (conosciuto anche con la sigla ZP8396) è una forma modificata di amilina umana, ingegnerizzata per essere stabile e a lunga durata d’azione (adatta a un’iniezione settimanale)  . Presenta 36 amminoacidi ed è acilata, il che la rende meno soggetta ad aggregazione e più persistente in circolo rispetto all’amilina endogena . Agendo sui recettori dell’amilina e del calcitonin-like receptor, petrelintide imita gli effetti dell’ormone naturale: riduce l’appetito attraverso recettori cerebrali della sazietà, rallenta la digestione (prolungando la sensazione di pienezza) e sopprime il glucagone post-pasto, migliorando la stabilità glicemica . Grazie al suo meccanismo complementare a quello delle incretine, petrelintide può essere usato in monoterapia o potenzialmente in combinazione con agonisti GLP-1 per un effetto sinergico sul peso.

Effetti su peso e metabolismo: I dati preliminari suggeriscono che petrelintide possa offrire riduzioni di peso comparabili a quelle dei GLP-1 agonisti. In studi preclinici su modelli animali con obesità, l’aggiunta di un analogo dell’amilina ha prodotto ulteriore perdita di peso rispetto ai soli agonisti incretinici  . I primi studi clinici sull’uomo sono incoraggianti: in una sperimentazione di Fase 1 su adulti con sovrappeso/obesità, petrelintide è risultato ben tollerato alle diverse dosi testate e ha mostrato segnali di efficacia sul calo ponderale  . Dati più definitivi emergeranno dagli studi in corso. Attualmente è in fase II lo studio ZUPREME-1, disegnato per valutare petrelintide somministrato una volta a settimana per 42 settimane in circa 480 persone con obesità (in combinazione con dieta ipocalorica ed esercizio)  . L’endpoint primario sarà la variazione percentuale di peso a 28 settimane, con endpoint secondari come girovita, glicemia e HbA1c . Petrelintide potrebbe quindi diventare un’opzione efficace sia per perdere peso sia per migliorare il controllo glicemico in pazienti obesi (soprattutto in combinazione con il trattamento per il diabete, data la sua azione sul glucagone). Un aspetto interessante emerso dagli studi preliminari è che l’analogo dell’amilina potrebbe aiutare a preservare la massa magra durante il dimagrimento . Una sfida nelle terapie anti-obesità, infatti, è la perdita di massa muscolare che spesso accompagna il calo di peso; petrelintide, agendo con un meccanismo diverso, potrebbe ridurre questo fenomeno catabolico, portando a un dimagrimento più favorevole in termini di composizione corporea . Inoltre, grazie alla soppressione del glucagone e al rallentato assorbimento dei carboidrati, petrelintide può avere un impatto positivo sul controllo glicemico post-prandiale. Ciò lo rende potenzialmente utile non solo in pazienti obesi non diabetici, ma anche in quelli con diabete tipo 2 o condizione di prediabete, come terapia aggiuntiva per migliorare la glicemia (analogamente a come l’analogo dell’amilina pramlintide – un farmaco più datato – viene usato per appianare i picchi glicemici post-prandiali nei diabetici in trattamento insulinico).

Sviluppi in combinazione: Una delle strategie più promettenti è l’utilizzo di petrelintide in combinazione con altri agenti ormonali per ottenere cali ponderali maggiori. Studi combinati di analoghi dell’amilina con agonisti GLP-1 suggeriscono effetti additivi: ad esempio, la combinazione di cagrilintide (altro analogo dell’amilina) con semaglutide ha prodotto perdite di peso fino al 15-16% in 32 settimane, paragonabili a quelle di tirzepatide . Analogamente, Zealand Pharma (che sviluppa petrelintide) e Roche hanno stretto un accordo per testare petrelintide in associazione con un dual agonista incretinico di Roche, chiamato CT-388 . L’idea è sfruttare il diverso meccanismo di petrelintide rispetto ai GLP-1/GIP agonisti, in modo da colpire più vie dell’appetito e del metabolismo energetico. Secondo Roche, una formulazione fissa di petrelintide + CT-388 potrebbe offrire un’efficacia ai vertici della categoria (“best-in-disease”) mantenendo una buona tollerabilità . In prospettiva, combinazioni di questo tipo potrebbero avvicinare i risultati delle terapie mediche a quelli ottenibili con la chirurgia bariatrica, agendo su ormoni multipli (concetto di politerapia ormonale dell’obesità).

Possibili effetti collaterali: I dati disponibili indicano che petrelintide è generalmente ben tollerato. Come per altri farmaci che agiscono sulla sazietà, gli effetti collaterali più probabili riguardano l’apparato gastrointestinale. Gli analoghi dell’amilina già noti (es. pramlintide) causano frequentemente nausea e anoressia nelle fasi iniziali del trattamento, poiché amplificano il segnale di sazietà; ci si aspetta che anche petrelintide presenti un tasso di nausea simile, specie durante la titolazione della dose. In genere, questo effetto è dose-dipendente e tende a ridursi man mano che il corpo si adatta. Altri disturbi possibili sono senso di pienezza precoce, piccoli disordini gastrointestinali (come lieve distensione addominale) e, in rari casi, vomito. Dal momento che petrelintide riduce il glucagone e rallenta la comparsa del glucosio nel sangue dopo i pasti, se usato insieme ad insulina (o secretagoghi insulinici) potrebbe aumentare il rischio di ipoglicemie: un aspetto già noto per pramlintide, che richiede un aggiustamento della dose di insulina in chi lo utilizza. In monoterapia, tuttavia, petrelintide ha basso rischio ipoglicemico perché non stimola direttamente l’insulina. Gli studi clinici iniziali non hanno riportato eventi avversi gravi dose-correlati; nella sperimentazione di fase 1 il farmaco è risultato ben tollerato senza problemi di sicurezza rilevanti  . Un potenziale problema degli analoghi dell’amilina è la loro tendenza all’aggregazione (fibrillazione) che in passato ha limitato l’uso di amilina esogena; petrelintide è stato però progettato per essere stabile a pH neutro e minimizzare questo rischio . Come con tutte le terapie in sviluppo, servirà monitorare la sicurezza a lungo termine su più ampie popolazioni. In generale, ci si attende che petrelintide presenti effetti collaterali simili ai GLP-1 agonisti (soprattutto GI), ma con un profilo di rischio altrettanto gestibile, rendendolo un candidato interessante nel panorama delle terapie anti-obesità.

CT-388

Meccanismo d’azione: CT-388 è la sigla di un farmaco sperimentale sviluppato da Roche, appartenente alla stessa classe di tirzepatide. Si tratta infatti di un agonista duale dei recettori GLP-1 e GIP, concepito per sfruttare gli effetti complementari di questi due ormoni incretinici . In pratica, CT-388 funziona in modo simile a tirzepatide (“twincretina”), stimolando la secrezione insulinica glucosio-dipendente e inibendo l’appetito attraverso la via del GLP-1, e al contempo modulando positivamente il segnale del GIP che può contribuire al controllo metabolico. L’obiettivo di Roche è proporre un proprio agente once-weekly con profilo efficace nel diabete e nell’obesità, andando a competere con i prodotti di Novo Nordisk ed Eli Lilly. Data la natura sperimentale, al momento le informazioni dettagliate su CT-388 sono limitate; si sa tuttavia che è stato testato in studi preliminari di sicurezza ed efficacia.

Effetti attesi su sindrome metabolica e peso: Non essendo ancora pubblicati risultati di studi avanzati, ci si basa per ora sulla logica farmacologica e sugli annunci preliminari. In termini di azione, CT-388 dovrebbe replicare i benefici osservati con tirzepatide: una robusta riduzione dell’HbA1c nei pazienti diabetici, grazie alla duplice stimolazione incretinica, e un potente effetto anoressizzante con conseguente perdita di peso significativa nei pazienti obesi. Roche ha indicato che CT-388 sarà sviluppato sia in monoterapia sia in combinazione. Come accennato nella sezione precedente, la combinazione più interessante è quella con petrelintide (analogo dell’amilina): l’associazione di CT-388 e petrelintide mira ad attaccare l’obesità su tre fronti ormonali (GIP, GLP-1 e amilina) per massimizzare il calo ponderale mantenendo una buona tollerabilità . Si ipotizza che utilizzando dosi più basse dei singoli agenti in combinazione si possano ridurre gli effetti collaterali mantenendo l’efficacia (“enhanced tolerability”) . Per quanto riguarda l’impatto sulla sindrome metabolica, un agonista GIP/GLP-1 come CT-388 dovrebbe migliorare vari componenti: oltre alla glicemia, ci si attendono miglioramenti della pressione (per la perdita di peso), del profilo lipidico e degli indici infiammatori, analogamente a quanto visto con tirzepatide  . Tali cambiamenti contribuirebbero a ridurre il rischio cardiovascolare nel lungo periodo. Naturalmente, queste sono aspettative basate sul meccanismo; la conferma arriverà dai trial clinici. La partnership Roche–Zealand punta molto su CT-388: integrandolo con petrelintide, ambisce a risultati di punta nel trattamento dell’obesità, potenzialmente superiori a quelli ottenibili con i singoli farmaci attuali.

Possibili effetti collaterali: Anche se mancano dati pubblicati su larga scala, CT-388 molto probabilmente condividerà il profilo di sicurezza tipico degli agonisti incretinici. Pertanto, ci aspettiamo effetti collaterali gastrointestinali dose-correlati (nausea, vomito, diarrea) come manifestazioni più frequenti. Sarà fondamentale, come per tirzepatide, titolare gradualmente la dose per migliorare la tollerabilità. Un eventuale vantaggio di CT-388 potrebbe emergere proprio nella combinazione con petrelintide: l’uso di entrambi a dosi ridotte potrebbe mitigare alcune reazioni avverse (ad esempio, la minor dose di CT-388 potrebbe ridurre la nausea rispetto a una dose piena in monoterapia, bilanciando l’effetto con la sazietà indotta dall’amilina). Tuttavia, questo rimane speculativo finché non saranno disponibili risultati clinici. Non sono noti al momento rischi specifici diversi da quelli degli agonisti GLP-1/GIP in generale. Si dovrà ovviamente monitorare la sicurezza pancreatica (pancreatite) e tiroidea come per gli altri incretinomimetici, e valutare gli effetti cardiovascolari a lungo termine. In sintesi, CT-388 rappresenta un’evoluzione della classe degli agonisti duali, e si prevede un profilo di tollerabilità analogo a tirzepatide: ben controllabile con gli accorgimenti del caso, e nettamente sovrastato dai benefici clinici in termini di peso e salute metabolica. Con l’avanzare dello sviluppo clinico, maggiori dettagli permetteranno di chiarire se CT-388 offre differenze significative (in positivo o negativo) rispetto al suo predecessore tirzepatide.


Digiuno Intermittente 16/8

Il digiuno intermittente 16/8 è un approccio nutrizionale che prevede di concentrare l’assunzione di cibo in una finestra temporale di 8 ore ogni giorno, osservando un digiuno per le restanti 16 ore. Negli ultimi anni questo regime alimentare ha acquisito popolarità come strategia per perdere peso e migliorare vari aspetti della salute metabolica, spesso considerato più sostenibile e flessibile di una dieta quotidiana rigidamente ipocalorica. A differenza di altri modelli di digiuno intermittente (come il 5:2, in cui si mangia normalmente per 5 giorni e si assumono calorie molto ridotte per 2 giorni a settimana, o il digiuno a giorni alterni 24 ore), il metodo 16/8 – detto anche Time-Restricted Feeding (TRF) – si inserisce facilmente nella routine giornaliera e può essere ripetuto con frequenza variabile in base alle preferenze individuali . In pratica, si sceglie un intervallo di 8 ore durante il quale consumare tutti i pasti della giornata, ad esempio dalle 12:00 alle 20:00 (saltando la colazione) oppure dalle 9:00 alle 17:00, o ancora dalle 7:00 alle 15:00 se si preferisce concentrare l’alimentazione nella prima parte del giorno . Durante le 16 ore di digiuno è consentito assumere acqua, tè, caffè o altre bevande prive di calorie, in modo da mantenere l’idratazione e mitigare il senso di fame senza interrompere il digiuno metabolico  . Questa sezione esaminerà i benefici metabolici attribuiti al digiuno 16/8, fornirà indicazioni sulla modalità di attuazione e la frequenza ottimale di questo regime alimentare, e infine illustrerà alcune strategie pratiche per massimizzarne gli effetti e favorirne la sostenibilità nel lungo termine.


Benefici metabolici e regolazione della glicemia nel digiuno 16/8

Il digiuno intermittente 16/8 produce una serie di adattamenti fisiologici che possono tradursi in benefici per il metabolismo e la salute cardiovascolare. Il primo e più immediato effetto è la riduzione dell’introito calorico giornaliero: limitando il periodo in cui si mangia a sole 8 ore, diventa più difficile consumare calorie in eccesso, il che porta nel tempo a un dimagrimento graduale. Diversi studi confermano che regimi 16/8 aiutano a perdere peso: una revisione di 13 studi ha trovato che 11 di essi riportavano perdite di peso significative con l’intermittent fasting . In uno studio clinico su pazienti obesi con diabete di tipo 2, seguire un digiuno 16/8 per 3 giorni a settimana per 3 mesi ha portato a una perdita di peso media del 4% circa, significativamente maggiore rispetto a un gruppo controllo con dieta abituale . Oltre al calo ponderale, il digiuno 16/8 induce miglioramenti in vari parametri metabolici. Durante il digiuno prolungato, i livelli di insulina diminuiscono e l’organismo passa a utilizzare maggiormente gli acidi grassi come fonte energetica (entrando in uno stato di lipolisi e chetogenesi leggera), fenomeno noto come “metabolic switch”. Studi clinici mostrano che il TRF 16/8 può ridurre l’insulinemia a digiuno e migliorare la sensibilità all’insulina, contribuendo a un migliore controllo della glicemia . In soggetti con prediabete o diabete, questo si traduce in valori glicemici più stabili e un minor rischio di picchi iperglicemici post-prandiali. Nel già citato studio su obesi diabetici, chi seguiva il 16/8 (anche solo pochi giorni a settimana) ha visto diminuire in modo significativo la glicemia a digiuno e l’HbA1c, indicatore del controllo glicemico medio . Questi miglioramenti erano assenti nel gruppo che non praticava digiuno intermittente. Sul fronte del profilo lipidico, il digiuno 16/8 tende a abbassare i trigliceridi plasmatici e il colesterolo LDL, probabilmente grazie sia alla perdita di peso sia al periodo prolungato di digiuno che promuove il catabolismo dei grassi . Nello studio citato, i partecipanti in regime 16/8 hanno mostrato un miglioramento significativo dei livelli di colesterolo e trigliceridi rispetto al controllo . Altri lavori hanno riscontrato anche un aumento del colesterolo HDL “buono”. Per quanto riguarda la pressione arteriosa, alcuni studi notano riduzioni modeste della pressione sistolica e diastolica dopo alcune settimane di digiuno intermittente, attribuibili al dimagrimento e forse a una diminuzione dell’insulinemia (che a sua volta riduce il riassorbimento renale di sodio). Il digiuno intermittente può inoltre ridurre l’infiammazione sistemica e lo stress ossidativo: in modelli animali e piccoli studi umani, periodi regolari di digiuno hanno portato a livelli più bassi di citochine infiammatorie e marker di stress cellulare, effetti collegati a un miglioramento generale del profilo di rischio cardiovascolare . Complessivamente, dunque, il 16/8 non solo facilita la perdita di peso, ma agisce positivamente su molteplici aspetti della sindrome metabolica: migliora la glicemia e la sensibilità insulinica, ottimizza i lipidi ematici e aiuta a controllare la pressione e l’infiammazione. Questi cambiamenti possono tradursi in un minor rischio di diabete (o miglior controllo del diabete esistente) e in una riduzione del rischio cardiovascolare a lungo termine . Infatti, il digiuno intermittente è stato proposto da diversi esperti come strumento utile per soggetti in sovrappeso con fattori di rischio cardiometabolico, dati i suoi benefici su peso, metabolismo glucidico e pressione . Va però notato che alcune ricerche suggeriscono che buona parte di questi vantaggi derivano semplicemente dalla restrizione calorica indotta; se l’apporto calorico complessivo non viene ridotto, il digiuno 16/8 potrebbe non offrire vantaggi aggiuntivi rispetto a una normale dieta ipocalorica. È quindi fondamentale associare il 16/8 a una scelta di cibi sani e a porzioni controllate, per massimizzare i benefici metabolici.

Modalità di attuazione e frequenza ottimale del digiuno 16/8

L’implementazione pratica del digiuno intermittente 16/8 richiede alcune scelte individualizzate riguardo quali ore dedicare all’alimentazione e quali al digiuno, nonché la frequenza con cui seguire il regime nell’arco della settimana. Una delle ragioni del successo di questo approccio è la sua flessibilità: il ciclo 16/8 può essere ripetuto quotidianamente oppure solo in alcuni giorni, adattandosi alle esigenze e allo stile di vita della persona . Di seguito, si illustrano i principali aspetti da considerare.

Scelta della finestra di alimentazione: È importante determinare un intervallo di 8 ore per i pasti che sia sostenibile e compatibile con gli impegni quotidiani. Alcune persone preferiscono saltare la colazione e concentrare l’alimentazione più tardi nella giornata, ad esempio dalle 12:00 alle 20:00, in modo da poter cenare normalmente la sera con famiglia o amici. Altri trovano più facile cenare presto e iniziare a mangiare prima la mattina seguente, ad esempio mantenendo la finestra tra 7:00 e 15:00 o tra 9:00 e 17:00 . Studi sul ritmo circadiano suggeriscono che concentrare i pasti nelle ore mattutine e pomeridiane (evitando pasti abbondanti in tarda serata) potrebbe ottimizzare i benefici metabolici, poiché il nostro organismo è più efficiente nel metabolizzare i nutrienti durante il giorno . Ad esempio, uno schema con colazione e pranzo, senza cena, consente un digiuno serale/notturno prolungato che ha mostrato in alcuni studi un impatto positivo sull’insulino-sensibilità e sulla pressione sanguigna . Tuttavia, l’approccio migliore varia da persona a persona: la finestra va scelta in base al proprio ritmo naturale e alla routine giornaliera, in modo da renderla più facile da rispettare nel lungo termine . Indipendentemente dall’orario scelto, è consigliabile mantenere costante la finestra giorno per giorno, così che il corpo possa abituarsi a un pattern regolare di digiuno-alimentazione.

Frequenza settimanale del 16/8: Non esiste un obbligo di praticare il digiuno 16/8 tutti i giorni, anche se molti trovano che farlo quotidianamente instauri una routine metabolica più stabile. In base alla tollerabilità e agli obiettivi, si può adottare il 16/8 5-7 giorni a settimana oppure in modo più intermittente. Alcune persone lo seguono ad esempio solo nei giorni feriali (dal lunedì al venerdì) concedendosi maggiore libertà nel weekend; altri preferiscono farlo a giorni alterni (un giorno 16/8 e il successivo alimentazione normale), oppure attuare 2-3 giorni consecutivi di digiuno ogni settimana. La flessibilità è ampia: si può applicare il ciclo 16/8 da una volta a settimana fino a ogni giorno, a seconda della preferenza . Ovviamente, la frequenza incide sui risultati: praticare il digiuno intermittente quotidianamente o quasi tenderà a produrre un deficit calorico maggiore e più costante, favorendo un dimagrimento più rapido e marcati miglioramenti metabolici. D’altro canto, anche un’applicazione parziale può dare benefici. Ad esempio, lo studio su diabetici obesi citato in precedenza ha ottenuto miglioramenti significativi con il 16/8 eseguito solo 3 giorni a settimana . Ciò indica che persino un digiuno intermittente non quotidiano può influenzare positivamente il metabolismo. In generale, per chi è alle prime armi si potrebbe iniziare con 2-3 giorni a settimana e poi aumentare gradualmente la frequenza. L’ottimale dipenderà da come il corpo e lo stile di vita del soggetto reagiscono: l’importante è trovare un equilibrio tra efficacia e sostenibilità. Ad esempio, se praticare il digiuno ogni giorno risulta troppo gravoso e porta a episodi di abbuffate, è preferibile ridurre i giorni di digiuno e mantenere un approccio che si possa seguire costantemente. D’altra parte, chi si trova bene con lo schema 16/8 quotidiano può adottarlo come parte della propria routine abituale di alimentazione. Non ci sono controindicazioni nel protrarre il 16/8 nel lungo periodo, purché si assumano nutrienti adeguati nelle 8 ore alimentari. In sintesi, la frequenza ottimale varia da individuo a individuo: molti scelgono un approccio quotidiano per massimizzare i benefici metabolici, ma anche un’applicazione 4-5 volte a settimana o a giorni alterni può essere efficace. L’ascolto del proprio corpo e la valutazione dei progressi guideranno eventuali aggiustamenti.

Strategie pratiche per massimizzare gli effetti del digiuno 16/8

Per ottenere i migliori risultati dal digiuno intermittente 16/8 e mantenerlo nel tempo senza eccessive difficoltà, è utile adottare alcune strategie pratiche. Qui di seguito sono elencati dei consigli chiave:    •   Pianificare una finestra adatta alle proprie esigenze: Scegliete un intervallo di 8 ore per mangiare che si integri bene con i vostri orari di lavoro, famiglia e attività quotidiane. Ad esempio, se sapete di avere cene sociali frequenti, potrebbe convenire fissare la finestra più tardi (es. 12-20); se invece la sera preferite non cenare tardi, anticipate (es. 8-16 o 9-17). Trovare un ritmo che segua le vostre abitudini circadiane renderà più facile aderire al digiuno sul lungo periodo . È importante anche mantenere la stessa finestra ogni giorno (o nei giorni previsti) per abituare il corpo a orari regolari.    •   Mantenersi idratati durante il digiuno: Nel periodo di digiuno di 16 ore, bevete abbondantemente acqua e altre bevande senza calorie. L’idratazione aiuta a controllare la fame e supporta le funzioni corporee. Sono consentiti acqua, tè (anche deteinato) e caffè nero (senza zucchero né latte) – quest’ultimo può dare un lieve stimolo energetico e sopprimere l’appetito, ma va consumato con moderazione per non eccedere con la caffeina . Alcune tisane o infusi (senza aggiunte caloriche) possono essere utili, magari un tè allo zenzero o alla menta per placare lo stomaco. Evitate invece bevande zuccherate o succhi, che interromperebbero il digiuno fornendo calorie e stimolando l’insulina.    •   Seguire un’alimentazione equilibrata nelle 8 ore: Il digiuno intermittente non dà carta bianca a mangiare qualsiasi cosa durante la finestra alimentare. Per massimizzare i benefici, è fondamentale scegliere cibi nutrienti e mantenere porzioni appropriate. Riempiate i vostri pasti di alimenti integrali e ricchi di nutrienti – ad esempio: abbondanti verdure e ortaggi, fonti di proteine magre (carni bianche, pesce, legumi, tofu), grassi sani (olio d’oliva, frutta secca, avocado) e carboidrati complessi da cereali integrali. Un pasto bilanciato di questo tipo fornirà sazietà prolungata e un rilascio graduale di energia, aiutandovi a sostenere le ore di digiuno successive  . Al contrario, cercate di limitare cibi ad alto contenuto di zuccheri raffinati o farine bianche, snack industriali e fritti: questi alimenti possono dare picchi glicemici seguiti da cali bruschi, stimolando la fame durante il digiuno e vanificando in parte i benefici. Fibre e proteine dovrebbero essere presenti in ogni pasto della finestra alimentare, poiché aumentano la sazietà. Ad esempio, un pranzo tipo potrebbe includere un’insalata mista con pollo alla griglia, quinoa, avocado e semi; una cena uova e verdure saltate con olio d’oliva, accompagnate da pane integrale. Così facendo, fornite al corpo tutto ciò di cui ha bisogno e riducete il rischio di carenze nutrizionali nonostante il tempo alimentare ridotto .   


Evitare di compensare con eccessi calorici: Uno dei potenziali ostacoli del 16/8 è la tendenza di alcuni a abbuffarsi durante la finestra alimentare, magari perché arrivano troppo affamati all’ora di rompere il digiuno. Bisogna invece mantenere un certo controllo: mangiate fino a sazietà, ma senza esagerare. Ricordate che l’obiettivo è comunque creare un deficit calorico moderato. Ingozzarsi di cibo ipercalorico nelle 8 ore può vanificare il deficit ottenuto nel digiuno e portare persino ad aumentare di peso. Alcune ricerche suggeriscono che, se non si bada alla qualità e quantità di ciò che si mangia, il digiuno intermittente non produce maggior perdita di peso rispetto a una dieta tradizionale con restrizione calorica . Quindi, siate consapevoli: mangiare lentamente, scegliere porzioni adeguate e fermarsi quando si è sazi sono comportamenti cruciali. Un buon trucco è rompere il digiuno con un piccolo spuntino sano (es. una manciata di mandorle, uno yogurt greco, o un frutto con qualche oliva) per placare la fame iniziale, e poi dopo un po’ consumare un pasto regolare. In questo modo si evita di divorare cibo in eccesso appena finisce il digiuno. Inoltre, ascoltate i segnali del vostro corpo: se vi sentite eccessivamente affamati o deboli, può essere opportuno abbreviare il digiuno di tanto in tanto. Il digiuno intermittente non deve diventare un’esperienza di sofferenza estrema; l’importante è la costanza nel tempo più che la rigidità assoluta giorno per giorno .    •   Incrementare gradualmente il periodo di digiuno e mantenere la costanza: Se non avete mai praticato il digiuno prolungato, è consigliabile non passare subito a 16 ore di astinenza alimentare dall’oggi al domani. Un adattamento graduale aiuterà a prevenire malesseri e abbandoni. Potete iniziare restringendo la finestra alimentare a 10 ore al giorno per una settimana (ad esempio 9-19), poi a 8-9 ore la settimana successiva, fino ad arrivare alle 8 ore stabilite . Questa progressione darà al vostro organismo il tempo di aggiustare i ritmi ormonali (leptina, grelina) e metabolici, riducendo sintomi come fame intensa, irritabilità o cali energetici. All’inizio, è normale avvertire un po’ di fame durante il digiuno mattutino o serale, ma nel giro di un paio di settimane molti riferiscono che il corpo si abitua e il senso di fame cala notevolmente durante le ore di digiuno. Un altro consiglio è di programmare attività leggere o impegni durante i momenti in cui si è a digiuno, per distrarsi dal pensiero del cibo (ad esempio una passeggiata nel pomeriggio può distogliere dall’appetito fino all’ora di cena). Infine, per ottenere risultati occorre consistenza: cercate di mantenere il regime 16/8 per diverse settimane, perché i cambiamenti metabolici e di peso richiedono tempo per manifestarsi. La perseveranza è premiata – studi clinici evidenziano che servono almeno 4-8 settimane di adozione regolare del TRF per vedere miglioramenti significativi nei marker metabolici e nella composizione corporea. Considerate il 16/8 non come una dieta temporanea ma come una strategia a lungo termine, magari modulabile in base alle circostanze (ad es. sospendere temporaneamente in vacanza e poi riprendere), ma da integrare stabilmente in uno stile di vita sano. In tal modo potrete godere dei benefici in modo duraturo, con minor probabilità di recuperare il peso perso una volta raggiunto l’obiettivo.


Conclusione

La gestione ottimale dell’obesità e delle patologie metaboliche correlate richiede spesso un approccio integrato, che combini terapie mediche efficaci con modifiche sostenibili dello stile di vita. Dall’analisi condotta emerge come i farmaci innovativi e il digiuno intermittente 16/8 non siano strategie mutualmente esclusive, bensì possano agire in sinergia nel favorire la perdita di peso e il miglioramento della salute metabolica. I nuovi farmaci – agonisti di GLP-1, agonisti duali GLP-1/GIP e analoghi dell’amilina – forniscono strumenti potenti per ridurre l’appetito, migliorare il controllo glicemico e affrontare l’eccesso ponderale alla radice dal punto di vista fisiologico. Al contempo, interventi sullo stile di vita come il digiuno 16/8 aiutano a ristrutturare le abitudini alimentari in modo sostenibile, promuovendo un deficit calorico moderato e benefici metabolici addizionali (come una migliore sensibilità insulinica e profilo lipidico). Combinare queste strategie consente di attaccare il problema dell’obesità su più fronti: il farmaco attenua la fame e facilita l’adesione al regime alimentare, mentre il digiuno intermittente potenzia gli effetti del farmaco e insegna al paziente una routine alimentare più sana e consapevole. Numerose evidenze supportano l’efficacia di un approccio combinato. Ad esempio, studi clinici hanno dimostrato che l’uso di farmaci anti-obesità insieme a interventi nutrizionali e comportamentali porta a maggior perdita di peso rispetto a ciascun intervento da solo  . In un trial, pazienti trattati con farmaco + counseling dietetico hanno perso in un anno più del doppio dei chili rispetto a chi assumeva il farmaco senza modifiche dello stile di vita . Ciò evidenzia come la terapia farmacologica massimizzi i suoi benefici solo se accompagnata da corretti comportamenti alimentari . Analogamente, il digiuno intermittente può dare risultati modesti se praticato isolatamente e poi abbandonato, ma diventa molto più efficace se inserito in un programma globale che può includere, quando appropriato, un supporto farmacologico per il controllo dell’appetito o del metabolismo.

In pratica, la gestione dell’obesità dovrebbe essere personalizzata e multidisciplinare. Il medico e il nutrizionista possono valutare il profilo del paziente e combinare gli strumenti migliori: farmaci sicuri ed efficaci per ottenere un iniziale calo ponderale significativo e correggere squilibri metabolici, educazione alimentare e approcci come il 16/8 per mantenere e proseguire la perdita di peso, esercizio fisico regolare per migliorare la composizione corporea e la fitness cardiovascolare, e supporto psicologico/comportamentale se necessario per consolidare i cambiamenti dello stile di vita. Questo approccio integrato aumenta le probabilità di successo a lungo termine, aiutando il paziente non solo a perdere peso ma anche a mantenerlo e a migliorare globalmente la propria salute. I farmaci possono dare lo slancio iniziale e compensare quei meccanismi biologici che ostacolano il dimagrimento (fame, adattamento metabolico), mentre il digiuno intermittente e le sane abitudini costituiscono la base quotidiana su cui costruire la salute metabolica duratura. In conclusione, la sinergia tra innovazione farmacologica e interventi sullo stile di vita rappresenta ad oggi la strategia più promettente per affrontare la complessa sfida dell’obesità. Sfruttando i benefici combinati – dall’importante calo ponderale e miglior controllo glicemico offerti dai nuovi farmaci, ai miglioramenti di insulino-sensibilità, profilo lipidico e infiammazione ottenibili con il digiuno 16/8 – è possibile ottenere risultati significativi sia in termini di peso corporeo che di riduzione del rischio cardiovascolare e metabolico. L’importante è adottare queste misure in modo integrato e continuativo, con il supporto degli operatori sanitari, per trasformarle in un vero cambiamento dello stile di vita e assicurare che i progressi raggiunti si traducano in una migliore qualità di vita e in un rischio minore di malattie a lungo termine. Con l’aiuto di un tale approccio combinato, molti pazienti possono riuscire dove prima fallivano, riconquistando controllo sul proprio peso e sul proprio futuro di salute.


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